Ricerche online: come è cambiato l’accesso alle informazioni

Articolo originale su Voices – Telecom Italia Blog
24 novembre 2014
 

Cercare informazioni sul web e? un’attivita? che è ormai entrata a far parte della nostra quotidianità. Mentre prima dell’avvento di Internet ci si affidava ai giornali e ai giornalisti per informazioni e cronaca, o si passavano giornate intere in biblioteca o sui volumi di un’enciclopedia per ricerche e studi, o più semplicemente si andava a chiedere lumi a una persona considerata più autorevole, oggi sembra che tutto si sia ridotto a una semplice affermazione: “Lo cerco su Google“.

La disponibilità di informazioni – rese fruibili dalla diffusione capillare di Internet – in questi ultimi anni ha seguito un andamento esponenziale. Nella storia umana non c’è mai stata un’epoca in cui ci fosse una così grande facilità di accesso a miliardi di documenti; questa possibilità è stata salutata da molti come l’inizio di una nuova era, quella della conoscenza condivisa.

Ma non è tutto oro quel che luccica. Se infatti Internet ha, da un lato, permesso una fruibilita? immediata di una serie di risorse – divise in interpersonali (posta elettronica, social network, forum), bibliografiche (archivi online, ebook) e documentali (siti) – dall’altro non ha saputo fornire delle modalità innovative per migliorare l’accesso all’informazione, o forse sarebbe più corretto dire che non ha saputo formare le persone a un corretto uso dello strumento e delle sue potenzialità.

Tre sono le principali categorie che limitano o alterano l’efficacia di una ricerca online.

In primis, il motore di ricerca stesso.

La modalità di ricerca online nasce da quella usata anni fa per le ricerche su cataloghi informatizzati: basi di dati consultabili attraverso degli indici, parole chiave e l’uso di operatori booleani (AND, OR, NOT). Questo non è un limite di per sé, anzi, è la naturale evoluzione di una modalità che ha sempre funzionato e che ha reso intuitiva la ricerca; ma il flusso informativo a disposizione oggi è enormemente superiore a quello di un catalogo informatizzato dell’epoca, e soprattutto su Internet l’informazione è de-strutturata, per cui è impossibile che il processo di ricerca segua lo schema tipico di una fonte organizzata.

Per ovviare a questo problema, i motori di ricerca (Google fra tutti), hanno iniziato ad aggiungere una serie di funzioni – i famigerati algoritmi – con l’obiettivo di rendere meno schematica la ricerca. Si tratta di serie di variabili che modificano la ricerca, partendo dai due attori principali: l’origine dell’informazione e la persona (o ente) che effettua la ricerca.

Nel primo caso, si tratta di rendere appetibili le informazioni pubblicate su Internet: infatti i motori di ricerca sono diventati esigenti e, per ovvi motivi di marketing, visualizzano i risultati seguendo non più un ordine logico e schematico ma assegnano una priorità arbitraria, generata dai loro filtri e algoritmi (in questo ci viene in aiuto il SEO, “Search Engine Optimization“, letteralmente Ottimizzazione per i Motori di Ricerca di un contenuto sul Web).

Nel secondo caso si tratta invece della personalizzazione dei risultati. Partendo dal profilo di Google dell’utente che effettua la ricerca il risultato ottenuto viene personalizzato in base alla modalità con cui il suo algoritmo calcola le “ricerche correlate” (analizzando le query precedentemente effettuate dai lettori) e da quali risultati suppone che gli utenti vorrebbero veramente visualizzare.

L’obiettivo di Google è sempre stato quello di aiutare a trovare la risposta giusta in meno tempo possibile, addirittura di anticipare il bisogno e fornire direttamente una risposta. Ma questo comporta che la ricerca sia soddisfacente?

Ricordiamo anche che, da un sondaggio di seotraininglondon.org, il 64% degli intervistati ha dichiarato di non essere a conoscenza del fatto che i risultati di ricerca mostrati da Google siano personalizzati.

Il secondo limite è lo strumento stesso: Internet e il device su cui viene effettuata la ricerca.

Sul Web non c’è problema di spazio: mentre nel mondo fisico ci siamo sempre imposti il limite della “pagina”, del foglio A4, su Internet la capacità di contenere dati e informazioni èillimitata. Ma da un vantaggio, questa ricchezza di contenuti si sta rivelando uno svantaggio.

Il lettore web non è un vero lettore: l’80% degli utenti “scorre” la pagina e la velocita? di lettura viene privilegiata rispetto al contesto.

Questo comporta che, anche se il risultato della ricerca fosse “neutro”, ossia non filtrato da algoritmi SEO o da personalizzazioni, ciò che noi leggiamo sono esclusivamente i primi risultati, e quelli che per esperienza o empatia colpiscono maggiormente la nostra attenzione: un filtro nel filtro.

Sono veramente poche le persone che leggono e cercano al di fuori della prima pagina di risultati, solo il 2-3% va alla seconda, e la maggioranza invece di consultare la terza pagina preferisce rifare la ricerca.

Il terzo limite è l’attendibilità delle fonti. Anzi, la capacità delle persone di verificare se la fonte da cui proviene l’informazione restituita da una ricerca sia attendibile o meno.

L’esempio più eclatante (e sul quale siamo caduti tutti) riguarda le informazioni sanitarie: cercare sintomi di un malore su Internet, senza conoscenze adeguate e soprattutto senza la verifica delle fonti, non fa altro che aumentare dubbi e paure rendendo tutti ipocondriaci. In questi giorni, addirittura un sito medico belga, Gezondheidenwetenschap.be, ha realizzato una campagna di sensibilizzazione sull’argomento: sfruttando le Google AdWords (quindi giocando sullo stesso terreno), a ogni ricerca inerente una patologia comune, il primo risultato a pagamento che compare è il messaggio: “Don’t google it, check a reliable source” (Non googlare, controlla una fonte affidabile).

Lo stesso problema, con esiti meno gravi, è riscontrabile in tutti i campi. Sull’e-commerce ad esempio, dove l’82% dei consumatori intervistati dichiara di effettuare ricerche in Internet prima dell’acquisto. Oppure sul turismo e i viaggi, dove metà di tutti i viaggiatori della UE fanno riferimento a siti Internet e a social media per le informazioni di viaggio. Meno del 10% attinge a informazioni fornite congiuntamente da quotidiani cartacei, radio e TV. Le agenzie di viaggio e gli uffici del turismo forniscono informazioni pertinenti a circa il 20% dei viaggiatori europei (fonte: Eurobarometer).

L’esigenza della verifica dell’attendibilità delle fonti è sempre più sentita, e in questo contesto sono entrati di prepotenza dei nuovi protagonisti: i social media con i contenuti generati dagli utenti.

Secondo un sondaggio del 2011 condotto da Skyscanner, il 52% degli utenti Facebook ha dichiarato di aver prenotato un viaggio per la stessa destinazione di alcuni amici, dopo aver visto le loro foto pubblicate sulla piattaforma, e il 34% dei viaggiatori europei ha affermato che la decisione di prenotare un viaggio è stata influenzata dai feedback di persone che conoscono esclusivamente online.

Dai social network, ai contatti “virtuali” fino al ruolo degli Influencer, l’argomento diventa ancora più complesso e avrebbe necessità di un approfondimento a parte, ma il ruolo dei social network nella verifica dell’attendibilità e autorevolezza di una fonte è chiaro.

Abbiamo visto come il processo, apparentemente semplice, di una ricerca su Google nasconda in realta? aspetti decisamente complessi; aspetti che devono essere presi in considerazione ogni volta che ci si appresta a effettuare una ricerca online.

Ciò non significa che Google, Bing, Yahoo e affini si siano di colpo trasformati nei nostri peggior nemici. Abbiamo la fortuna di usufruire di uno strumento veramente efficace per affrontare in maniera attiva e non passiva questo processo di ricerca, uno strumento che nasce dalla consapevolezza dei processi appena descritti. Questo strumento è semplicemente il buon senso, è gratis e va utilizzato e coltivato ogni giorno.

 

 

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