L’informazione condivisa e la rivoluzione: quanta strada c’è ancora da fare?

Ieri ho assistito alla nuova trasmissione di Santoro, Servizio Pubblico.
Come per le precedenti trasmissioni Raiperunanotte e Tuttinpiedi, è stato scelto l’ormai collaudato sistema di diffusione della trasmissione attraverso lo streaming web e il digitale terrestre, insieme a un network di emittenti locali.

Mentre assistevo alla trasmissione, ripensavo a Jeremy Rifkin, incontrato al Teatro Valle il 27 ottobre scorso, in un seminario dove è stata la possibilità  a noi blogger di porgli alcune domande nel backstage.

Durante l’incontro l’economista americano ha cercato di spiegare al giovane pubblico di indignati i motivi della crisi della seconda rivoluzione industriale, di come l’1% sia riuscito a monopolizzare il futuro al 99% e come si debba fare per riprenderselo.
Una nuova “rivoluzione” avviene quando si presenta un nuovo modello energetico insieme a un nuovo modello di comunicazione.
E la parte su cui riflettevo maggiormente, ieri sera, è stata proprio il parallelo che Rifkin ha fatto fra la distribuzione di energia e la distribuzione dell’informazione.

Dalla “prima” rivoluzione industriale dei primi del 900, sia la produzione (e distribuzione) di energia sia il modello di comunicazione hanno seguito una logica di centralizzazione, impedendo scambi e interazione.
Il nuovo corso (auspicato) dovrebbe comprendere un modello energetico distribuito e collaborativo, dove tutti posso produrre energia (tramite pannelli fotovoltaici o atri sistemi ecocompatibili) e ridistribuirla a chi è più vicino, abbattendo costi di trasferimento, e ridistribuendo il potere a livello mondiale (non più all’1% di cui sopra).

Anche con la comunicazione il modello è lo stesso: internet ne è la chiave, dove l’informazione viene prodotta da ognuno di noi tramite blog, e dove la conversazione permette di far circolare le informazioni che altrimenti proverrebbero solo dal mainstream. Chat, forum, blog, webzine, tutto ciò permette un uso democratico e distribuito della conoscenza, dove ognuno mette l’apporto che può, di cui è capace, e il solo fatto di leggere e mettere “in share” è un tassello per la distribuzione.

Ieri sera è avvenuto questo. Ridistribuzione di informazione, altrimenti tagliata fuori dai canali mainstream, che ha coinvolto piccole e grandi realtà , ognuno come poteva, noi utenti/spettatori tramite Twitter e Facebook (da dove sono stati lanciati tre sondaggi che hanno avuto una grande partecipazione).

Tutto ciò è bello, esaltante, quasi utopico. L’unica cosa che mi chiedo, una volta rodato questo meccanismo di ridistribuzione del potere e della comunicazione: qual è il contenuto?

Dietro le quinte (non metaforiche) del Teatro Valle, alla domanda diretta di come fare per smuovere le cose, Rifkin ha candidamente risposto di non saperlo e che spetta alle nuove generazioni trovare il modo di farlo.
Idem per Servizio Pubblico, cosa è stato detto ieri? Niente di più di ciò che si sapeva: i privilegi della casta e i problemi dei precari. Di soluzioni non se n’è parlato (forse solo nei sondaggi di Facebook, dando voce a un target definito di popolazione italiana alfabetizzata informaticamente).

«Caro Biagi, caro Montanelli. Non se ne può più di resistere, resistere, resistere. Bisogna fare la rivoluzione. Questa è la nostra piccola rivoluzione ».
Michele Santoro

A cosa serve la ridistribuzione dell’informazione? Solo ad alimentare una presa di coscienza, a livello mondiale ecolo(no)mico e a livello locale socio-politico.

  • Quindi possiamo parlare della rivoluzione proposta sia da Santoro che da Rifkin?
  • Non credo proprio.
  • Può essere un buon inizio?
  • Forse (anzi, speriamo).

disclaimer

Date le ultime polemiche mi sento in obbligo di mettere alcuni puntini sulle “i”:

  • questo è un blog personale;
  • tutto ciò che vi viene scritto sono solo opinioni e riflessioni personali;
  • non detengo la verità  assoluta;
  • commetto errori di grammatica;
  • se passi di qui solo per offendere, e non per una critica costruttiva, non sei il benvenuto.

 

3 Comments
  • valentina

    07.11.2011 at 11:30 Rispondi

    la perplessità  non sono solo mie…

    Perché a Twitter non piace Servizio Pubblico http://www.apogeonline.com/webzine/2011/11/07/perche-a-twitter-non-piace-servizio-pubblico di @GBA_mediamondo via @apogeonline

  • kOoLiNuS

    09.11.2011 at 19:09 Rispondi

    …. non so, sono un po’ perplesso. Come stile di vita cerco di adottare quello di non sollevare un polverone/problema se almeno non ho una soluzione pronta.

    Nella giornata surreale di oggi dove l’Italia sistema sta naufragando e l’Italia dei singoli continua a fare la sua vita come al solito, nella realtà  disastrata della Liguria, nelle terre in dubbia ricostruzione post-sisma dell’Umbria, il problema mi pare che sia ben chiaro a tutti.

    Meno chiaro mi pare che sia la soluzione, a meno di non voler intraprendere la strada, a noi geograficamente vicina, della primavera araba.

    Ma, il mio dilemma, è che se quella è una via percorribilissima come ‘sistema’, come Paese, siamo veramente lontani da un risveglio delle coscienze, da un Risorgimento del pensiero e del sentire, che poi ci porterebbe ad una Nuova Italia.

    • kOoLiNuS

      09.11.2011 at 19:27 Rispondi

      Rileggendo noto che manca un passaggio logico tra il post ed il mio commento. Commento che nasce da questo passaggio:

      Tutto ciò è bello, esaltante, quasi utopico. L”™unica cosa che mi chiedo, una volta rodato questo meccanismo di ridistribuzione del potere e della comunicazione: qual è il contenuto?
      Dietro le quinte (non metaforiche) del Teatro Valle, alla domanda diretta di come fare per smuovere le cose, Rifkin ha candidamente risposto di non saperlo e che spetta alle nuove generazioni trovare il modo di farlo.

      E quindi il discorso di Rifkin, le ‘denunce’ di Santoro, Travaglio, Luttazzi, Di Pietro, Grillo e mille altri … se non portano a conclusioni, a proposte, a fatti, ad idee sono sterili.

      Quindi discutiamo, diciamo “non va bene”, ma PROPONIAMO. E proponiamo a ragion veduta di un’idea politica (nel senso più alto del termine). Non dell’interesse personale.

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