Noi del Mac

Quello che molti non sanno, e che non possono capire, è il senso di smarrimento che oggi provano milioni di graphic designer e affini.
Non siamo i fanatici, gli Apple Addicted dell’ultima ora, quelli che hanno scoperto i case colorati, le forme tonde e poi via via più essenziali, il giocattolino musicale dell’iPod e l’evoluzione epocale del giocattolone iPhone solo negli ultimi anni.

Siamo quelli del case beige, dei fosfori arancioni, delle periferiche esclusivamente SCSI, delle SyQuest, del suono orchestrale o del Sad Mac all’avvio, di Photoshop 2.0 e Illustrator 88 introvabili su altri sistemi.

Siamo quelli che erano snob prima ancora che possedere un Macintosh diventasse una tendenza, o lo status symbol dell’oggetto di design; quelli che non conoscevano Blue Screen of Death; quelli che leggevano i Floppy del PC e riuscivano a leggerne i file e si chiedevano perché al contrario la cosa non funzionasse, quelli che sapevano che bastava aggiungere un’estensione al file affinché Windows riuscisse ad assegnargli un’icona; quelli che hanno subito il passaggio dal dire “ho il mac non lo so come funziona” al sentirsi dire dagli amici più improbabili “mi sono comprato pure io il mac, mi aiuti?” (cit. Ciro).

Possedere la mela era il biglietto da visita per affermare “sono un creativo”.
E così lo è stato per anni, e per molti di noi lo è ancora.
Era la differenza fra un personal computer da casa e con i giochini e un computer come tool di lavoro.

Era stimare la persona perché riusciva sempre a ideare lo strumento di cui avevamo bisogno in quel momento, che riusciva a rendere il lavoro più fluido e gradevole, era il fratello maggiore che ti accompagnava verso il futuro, e lo ha fatto per questi ultimi 20 anni.

Per questo, noi del mac, oggi ci sentiamo tutti orfani.

Addio Steve, e grazie.

Steve by Jonathan Mak

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