Professione liquida

Stamane sono rimasta colpita da un titolo di una notizia: “Palazzo Chigi, fotoreporter contro Twitter“. Sarà  il solito articolo polemico sui social network e il loro uso da chi neanche ha mai aperto un account: e invece la notizia nascondeva la fotografia (scusate l’uso della metafora) di un malessere più profondo e diffuso.

I fotogiornalisti in agitazione lamentavano la loro esclusione nella giornata dell’incontro tra Governo e parti sociali. Fotografi e cineoperatori sono stati lasciati fuori dal Palazzo, mentre grazie alla “potenza” del citizen journalism e di Twitter, un’immagine è apparsa sulla rete, diventando lei l’immagine simbolo della giornata, e probabilmente quella usata da tutte le testate giornalistiche per parlare dell’evento.

Fotoreporter contro Twitter, a mio parere, nasconde non un contrasto ma una necessità  di cambiamento delle professioni (e delle professionalità ?).

Come spesso ripetuto, le professioni legate alla comunicazione sono spesso oggetto di una concorrenza sbilanciata da parte di non professionisti (fotoreporter vs foto dai cellulari, giornalisti vs blogger, designer vs smanettoni al computer).
In tempi di crisi è ovvio che si opti per un abbassamento del costo di alcuni servizi, andando però a sconfinare con un abbassamento della qualità . Ma non è solo la crisi che sposta il baricentro verso figure professionali sempre meno preparate e più economiche, ma anche l’evoluzione della comunicazione stessa, degli strumenti, della modalità  di trasmissione e interazione.

Una foto scattata da uno smartphone, con grana, colori alterati e composizione incerta ha la stessa forza emotiva di un articolo di un blogger, magari con errori di grammatica, ma sul quale ci mette forza, passione e la propria faccia. Forse i social network hanno insegnato a far apprezzare un tipo di comunicazione più genuina e immediata, al contrario di una comunicazione istituzionale, professionale, impeccabile e purtroppo asettica.
In questi anni di sovraccarico mediatico, la gente ha imparato a riconosce i meccanismi con cui il messaggio viene alterato e manovrato  (grazie a una sapiente foto o a un testo ben argomentato, o a uno spot che fa leva su stati emotivi e bisogni), e quindi ha anche imparato a diffidare dell’ufficialità  delle comunicazioni.

L’evoluzione degli strumenti e delle dinamiche ci sta riportando al passato: a quando il passaparola (con tutti i limiti e le contaminazione che raccoglie nel suo cammino) era il mezzo che dava valore, e le fonti “amiche” davano autorevolezza al messaggio.

Forse è tempo di rivedere tutto: le professioni, le categorie, gli albi, le interazioni, tutto. Sento troppa rigidità  da parte di tutti i professionisti, anche dei ““ così detti ““ liberi professionisti.
Tanto a criticare chi rimane ancorato al proprio cubicolo o alla propria poltrona, ma anche loro rimangono ancorati a un vecchio concetto di professionalità  che andrebbe totalmente rivisto.

Come dovrebbe essere questa evoluzione? Sinceramente non lo so, so solo che così non andrà  molto lontano.

Vedo una professionalità  liquida, fluida, trasversale, mobile (nel senso di mobilità ). Vedo contaminazioni, competenza, ma adattabilità  e continua evoluzione. Essere sfaccettati, polifuzionali e curiosi non sarà  più indice di poca specializzazione, ma di una continua crescita ed evoluzione.

Ma, infine, non sto ipotizzando come sarà  la professione del comunicatore del futuro, ma quella che io desidererei ora.

 

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