Da artista a designer fino a brand: la nuova evoluzione di una professione

Ieri ho ricevuto l’ennesimo stop ai miei progetti.
E ““ come troppo spesso accade ultimamente ““ mi sono ritrovata a dover ridisegnare tutti i miei piani da capo.

Dopo un primo momento di dovuta rabbia e frustrazione per la difficoltà  di venir fuori da questo impasse professionale, mi sono rimboccata le maniche e stamane mi ritrovo nuovamente a prendere tutti i pezzi del  puzzle (della mia vita) e cercare di tirarne fuori un disegno nuovo.

In questo “brodo primordiale” che mi caratterizza da tempo, mi sono trovata a fare diverse riflessioni sulla mia professione, come spesso ho fatto in passato. Ma oggi mi sento meno sola perché tante delle mie conclusioni sono avallate da altri personaggi e mi danno speranza di stare percorrendo la direzione giusta.

Come nel caso dell’articolo di ieri  La Zanzara e il giornalismo di scuderia  in cui viene spiegata l’evoluzione della figura del  giornalista, il quale, secondo l’autore, “diventa un personaggio, un brand da gestire”.
In quest’articolo ho rivisto alcune delle mie considerazioni sulla professione liquida.

Certo lo so che la professione liquida può portare a una perdita di qualità  e di specializzazione, come ammesso anche da  Alan Mutter, esperto di giornalismo e nuove tecnologie ed ex caporedattore centrale del  Chicago Sun-Times, in merito alla decisione della sua ex testata di  licenziare  tutti i suoi 28 fotografi.

Continueremo ad avere molte foto, ci saranno sempre. Ma avremo ancora le grandi fotografie, le indimenticabili immagini iconografiche? Forse no.

Ma il punto su cui voglio soffermarmi è un altro.

La nascita di una nuova figura che racchiuda in sè diverse professioni, della quale il valore aggiunto non è più cosa sa fare, ma chi è e che caratterizzazione può dare a quello che fa. La nascita di un brand, appunto.

[…] il personaggio prende il posto del giornalista. Per personaggio intendo una personalizzazione spinta, un opinionismo forte, un tipo fisico, un carattere, un”immagine coerente. Un  brand, appunto. E un  brand  non può permettersi incertezze, dubbi, domande, congetture e confutazioni sulla base dei fatti.

Ancora non so spiegarlo bene, devo analizzare meglio gli scenari, ma questa nuova deriva mi piace, la sento mia e già  ne avevo colto i primi segni in passato.
E contestualizzando questa affermazione nel mondo della comunicazione visiva, è come se la distinzione fra artista e designer (descritta egregiamente da Bruno Munari nel suo libro omonimo) si facesse più sottile.

La nuova figura professionale non è solo quella che offre un servizio alla massa, concentrandosi sul miglior risultato e sul’esperienza d’uso più soddisfacente, ma una figura ricercata anche per la sua sensibilità , che filtra la realtà  in base alla sua esperienza e produce un prodotto più ricco e personale, come un artista appunto.

Mi piace, lo ripeto.
E mi chiedo cosa avrebbe detto Munari in merito.

 

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